Psicoterapia pluralistica integrata

Articolo di Edoardo Giusti, pubblicato sulla rivista Integrazione nelle psicoterapie, n. 1 del 2011, pp. 201-207, Edizioni Scientifiche ASPIC.

Abstract: nella pratica psicoterapeutica è necessario possedere teorie su come le persone cambiano e su come si procede per conseguire gli obiettivi di un progetto terapeutico. Non bisogna cercare la dottrina onnicomprensiva, ma piuttosto saper usare efficacemente le varie teorie. L'integrazione pluralistica permette di sviluppare un approccio orientato alla realtà psichica dell'utente ed alle finalità del trattamento, selezionando interventi tecnici specifici derivanti da più modelli terapeutici (psicodinamico, umanistico, cognitivo-comportamentale).

Key-words: psicoterapia, pluralismo, integrazione, trattamento, tecniche, benessere.

La rappresentazione della realtà che orienta le psicoterapie è fondata sulle teorie che, guidate dai diversi paradigmi epistemologici derivanti da numerosi grattacieli concettuali, devono essere compatibili con gli utenti e di utilità per le loro esigenze, i loro bisogni e le loro necessità (Duncan, et al., 2010).

Anche se non esiste una sola mappa concettuale, risulta spesso vantaggioso per i professionisti possedere l'impianto di una metateoria sovraordinata (Orlinsky, 2009) e indicativa, che utilizza gli elementi comuni di una psicoterapia moderna: un mito che spiega i fenomeni esistenziali storiografici e il ruolo di un individuo nel suo contesto (Giusti, 2006). Risulta poi utile, oltre che necessario, poter fruire di alcune teorie codificate e specifiche per avere una prospettiva su come le persone cambiano, come si possono alleviare i sintomi e come si procede per conseguire gli obiettivi di un progetto terapeutico restaurativo breve o ristrutturante della personalità a medio-lungo termine (Duncan, 2010; Sperry, 2010).

È necessario ricordare sempre che le teorie servono più agli operatori che agli utenti e che il trattamento deve essere congruo con i confini appropriati del setting (Loriedo e Acri, 2009),  rispettando le dimensioni soggettive e oggettive che danno un senso di fiducia antropologica all'etica della vita (Giusti e Germano, 2006).

Cercherò di rispondere ad alcuni quesiti che sono emersi durante i gruppi di supervisione (Giusti et al., 2000) e i gruppi di studio che ho condotto recentemente.

Ho spiegato ai partecipanti che non bisogna cercare la teoria ideale onnicomprensiva, ma piuttosto saper usare efficacemente le varie teorie, integrandole con una pianificazione strategica e con metodologie tecniche in base alle situazioni richieste, mantenendo sempre un forte interesse (vocazionale) per la realtà psichica dell'utente.

I modelli teorici degli operatori sono selezionati implicitamente in base alla visione personale del mondo di ciascun professionista, utilizzando, nella pratica, l'approccio più compatibile e gradito all'utente e più opportuno per le finalità del trattamento.

Visioni soggettive degli psicoterapeuti

L'applicazione iniziale di uno schema teorico e diagnostico differenziale è necessario per valutare i livelli di psicopatologia e le relative indicazioni e controindicazioni, rispetto a eventi acuti e a rischio (Giusti e Bruni, 2009) e circa la fattibilità di un intervento psicoterapeutico (Giusti et al., 2006; Spalletta, 2010).

Sin dagli incontri preliminari, vanno valutate l'aspettativa e l'adesione al trattamento dell'utente fruitore del servizio, espresse dalla disponibilità e dalla prontezza a collaborare verso obiettivi condivisi (Manucci e Di Matteo, 2010). Vanno anche considerate le risorse individuali (resilienza) e di rete a disposizione per concordare alcuni obiettivi immediati e a breve scadenza, al fine di ipotizzare un'eventuale evoluzione progressiva del trattamento nel tempo (Giusti e Vigliante, 2009).

Dopo aver facilitato il discorso del paziente, una spiegazione adeguata va fornita anche attraverso metafore (Giusti e Ciotta, 2005), per chiarire e rendere comprensibile alcuni collegamenti circa l'origine dei problemi e i necessari interventi sequenziali per affrontare le dolenze. Indispensabili e proficui sono i feedback, tempestivi, puntuali, regolari, tesi a confermare i progressi avvenuti in itinere e, quando necessario, a confutare pensieri irrazionali e distruttivi. Le pause significative (silenzi) vanno interpretate con tatto, se sono molto frequenti.

Il circolo ermeneutico della relazione terapeutica (Clarckson, 1997) è stato confermato dalle numerose ricerche scientifiche come il cuore pulsante dell'insieme dei rituali del percorso della cura. La costruzione e il mantenimento dell'alleanza relazionale costituiscono abilità fondamentali per consolidare la collaborazione e l'adesione alle indicazioni cliniche (compliance). L'alleanza e l'atteggiamento supportivo sono, inoltre, il miglior fattore predittivo di un buon esito. Saranno le caratteristiche specifiche di ogni paziente a consentire di pianificare strategie personalizzate (tailor made), modulate sui livelli di deterioramento funzionale e di resistenza, con interventi elettivi mirati e sequenziali (stage of change) nel corso del trattamento (Norcross, 2002).

La rilevazione progressiva delle aspettative e della speranza di miglioramento, come anche della motivazione, consentirà di utilizzare questi fattori come risorse importanti nel controbilanciare le previste oscillazioni nell'impegno (resistenze) e l'ambivalenza difensiva circa il necessario coinvolgimento partecipativo al cambiamento (Arkowitz et al., 2010).

Le abilità necessarie (struttura interattiva) per riparare le inevitabili rotture dell'alleanza nel corso del trattamento si acquisiscono con l'esperienza e fanno parte dello stato dell'arte e della credibilità del clinico (Safran e Muran, 2001). La responsività empatica (Giusti e Locatelli, 2007) e il rispecchiamento affettivo (Hill, 2009) preservano il legame di attaccamento (Holmes, 2004), incoraggiano il processo della cura e prevengono possibili ricadute. I terapeuti esperti sanno svincolarsi dalle trappole traslative (Juston e Giusti, 1991), utilizzano transfert e controtransfert per contenere e metabolizzare agiti seduttivi e reazioni impulsive che interferiscono con il patto terapeutico. Sotto stress emergono strappi e fratture nel rapporto, che vanno interpretati con cura e usati per una maggiore consapevolezza, consentendo al paziente di beneficiare di una nuova esperienza emotiva, correttiva, riparativa e integrativa (Giusti e Di Fazio, 2008). La personalità dello psicoterapeuta, in formazione permanente, ha una valenza curativa e risulta essere l'agente mutativo principale del trattamento, correggendo i deficit e promuovendo la salute per lo sviluppo di un'identità stabile e autonoma.

Coloro che non ricordano il passato sono condannati a ripeterlo in continue riedizioni interpersonali. Spiegazioni e collegamenti (Giusti e Minonne, 2004) vanno forniti empaticamente per medicare antiche ferite narcisistiche del paziente (Giusti e Rapanà, 2002) anche mediante l'autorivelazione e l'autosvelamento del terapeuta (Giusti e Lazzari, 2005) e riconoscendo prontamente quei fallimenti empatici che possono altrimenti produrre crepe relazionali.

La psicoterapia va considerata “la terapia dell'intimità”, in quanto aiuta a sperimentare nel qui e ora le mappe relazionali primarie, in un modo diverso, correttivo, consentendo così il superamento “in vivo” delle relazioni interpersonali fallimentari.

Specifiche tecniche di autosostegno, come quella della “mindfulness”, vanno proposte in base alla prontezza al cambiamento e al livello di autosviluppo maturativo dell'utente. Integrazioni di approfondimento, come una psicopedagogia della respirazione e del rilassamento, risultano particolarmente utili per la desensibilizzazione di eventi ansiosi (Shapiro e Carlson, 2009).

Promuovendo la mentalizzazione, alcune funzioni delle strutture cerebrali sono restaurate per ridurre l'intensità delle tempeste emotive, colmare il senso di vuoto ed elaborare vissuti traumatici (Allen et al., 2010).

I prevedibili ostacoli relazionali (conflitti) possono essere elaborati e superati attraverso le tecniche immaginative (Giusti, 2007) e con il role-play (Giusti e Ornelli, 1999; Giusti e Rosa, 2006), che risultano tecniche elettive per armonizzare gli opposti interni, le dissociazioni intrapsichiche e i problemi contestuali, che spesso ostacolano la prosecuzione del trattamento quando si tende a modificare comportamenti disadattivi radicati. La biblioterapia e i compiti da svolgere a casa sono spesso un supporto proficuo per gli interventi sulla “patogenesi”.

Le recenti conferme ricevute dalla ricerca scientifica hanno validato l'efficacia della psicoterapia come strumento utile sia per alleviare la sofferenza, sia per superare specifiche difficoltà (Castonguay e Beutler, 2006; Dazzi et al., 2006). Il cammino psicoterapeutico si correla, inoltre, con un incremento dell'indice di benessere (capacità autoriflessiva) e soddisfazione personale (salutogenesi), attraverso la realizzazione di attività e scelte appaganti, espressa nella formula tripartita “avere, amare, essere”. Con la sua efficacia, la psicoterapia a prova di evidenza del processo dell'outcome produce effetti migliorativi duraturi e non solo transitori (Norcross et al., 2006). Dopo un trattamento psicoterapeutico, la maggioranza delle persone sta meglio rispetto all'80% di coloro che non l'hanno ricevuta (Carr, 2009). Le metanalisi rivelano che il 68% dei casi trattati migliorano significativamente rispetto al 32% di casi non trattati nei gruppi di controllo (Giusti e Sica, 2006). Inoltre, analizzando una montagna di studi scientifici, il parametro Effect size, che valuta l'effetto mutativo e la dimensione di un risultato, è a favore delle terapie dinamiche a lungo termine, che aumentano l'efficacia anche nel tempo (Shedler J., 2010).

Per di più, grazie alla diagnostica per immagini “PET Neuroimaging”, si è potuto fotografare l'impatto degli eventi relazionali in interazione con i processi neurofisiologici interni. Attraverso la rilevazione di indicatori di una maggiore plasticità sinaptica cerebrale (Merciai e Cannella, 2009), sono state documentate le modificazioni metaboliche in specifiche aree cerebrali determinate dalla psicoterapia. Un cambiamento duraturo richiede una relativa disattivazione dei collegamenti problematici nelle reti attivate e l'attivazione di connessioni nuove (Gabbard e Westen, 2008). Controindicazioni e ricadute intervengono in minor misura con la psicoterapia che con la farmacoterapia (Wampold, 2010).

Gli interventi vanno bilanciati e flessibilmente orientati tra un polo narrativo evocativo, con insight (Castonguay e Hill, 2007) al servizio della comprensione e della relazione “codice affettivo”, e un polo prescrittivo delle azioni, con la sperimentazione di compiti a casa al servizio di un cambiamento comportamentale (Stricker, 2010), utilizzando anche la scrittura per l'automonitoraggio e la cura di sé attraverso strumenti quali il diario, l'agenda e simili (Giusti et al., 2004). Essere creativamente tempestivi (Cesa-Bianchi et al., 2009) e spontanei nella somministrazione dei principi terapeutici attivi produce effetti immediati nei clienti (Elliot et al., 2006).

Infine, proporre la psicoterapia di gruppo basata sulla teoria dei sistemi complessi e svolta con una coppia di conduttori (Giusti e Montanari, 2005) è spesso un complemento utile al percorso individuale. Risulta, infatti, un acceleratore esperienziale di efficienza, parte della quale deriva dalle risonanze emotive socio-affettive evocate e dai feedback suscitati nei partecipanti a partire dalle espressioni soggettive di autosvelamento e attraversamento esperienziale catartico. Il gruppo terapeutico è, inoltre, un luogo di verifica degli effetti e dei risultati conseguiti durante il percorso svolto nel setting individuale (Giusti e Nardini, 2004).

Va tenuto in mente che il progetto d'integrazione pluralistica è frutto dell'esperienza maturata dagli psicoterapeuti attraverso la costante integrazione dei risultati della ricerca nella professione clinica (Goodheart et al., 2006).

Il disegno psicoterapeutico pluralistico integrato di cura ha le seguenti finalità:

A) procedere attraverso una valutazione psicodiagnostica della domanda dei soggetti e dei contesti;

B) essere sensibilizzati empaticamente alle emozioni agite nelle relazioni;

C) elaborare strategie diagnostiche e relazioni terapeutiche personalizzate;

D) gestire un piano di trattamento integrato in evoluzione, selezionando interventi tecnici specifici, utili agli utenti e calibrati sui loro vissuti temporali (passato, presente e futuro), derivanti da più modelli terapeutici:

  • Psicodinamico: storiografia per l'acquisizione di un senso d'identità
  • Umanistico: per la consapevolezza e la qualità della relazione
  • Cognitivo-comportamentale: rituali correttivi per progettare il destino

E) Validare i risultati mediante l'efficacia del processo e delle procedure attuate in dialettica permanente con la ricerca scientifica.

Per citare l'articolo

Giusti E. (2011) Psicoterapia pluralistica integrata. Integrazione nelle psicoterapie, 1, 201-8, Edizioni Scientifiche ASPIC. 

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Note sull'autore

Edoardo Giusti, psicologo e psicoterapeuta, è presidente e fondatore con Claudia Montanari dell'A.S.P.I.C. (Associazione per lo Sviluppo Psicologico dell'Individuo e della Comunità), responsabile e supervisore della Scuola di Specializzazione quadriennale in Psicologia Clinica di Comunità e Psicoterapia Umanistica Integrata e direttore della Collana "Psicoterapia e Counseling" presso la casa editrice Sovera di Roma.